TRENTA AGOSTO
CHIESA DI SANTA MARTA
Magnano
2024
È il giorno prima della fine. La città è vuota e rovente. Sui marciapiedi, nuove tracce: quelle che i tacchi hanno impresso nell’asfalto, come orme di animali nei boschi. Queste, però, non verranno cancellate dall’umidità del mattino o dalla prima pioggia, rimarranno fino al nuovo caldo o fino a una nuova gettata di bitume. Mi domando se Giacomo Feltrinelli ci abbia fatto caso, nel corso delle sue esplorazioni urbane, con lo sguardo fisso a terra, a distrarsi solo il tempo di cercare in tasca il cellulare per prendere appunti con uno scatto e permettersi di ricordare, dopo, le imperfezioni incontrate sul suo cammino. È questo il metodo che l’artista ha adottato per realizzare alcune sue serie, in cui la guida era imposta dalla segnaletica orizzontale, dalle imperfezioni di quelle che avrebbero dovuto essere linee stradali impeccabili, ricondotte all’ordine grazie a una costruzione geometrica rigorosa, a una composizione bilanciata, proporzionata, completamente controllata, con riferimenti inevitabili alla pittura analitica e all’arte concreta. Poi, ora, Feltrinelli ha sollevato lo sguardo. Ha scelto di restituire un intero paesaggio, non più una porzione di territorio, bensì un orizzonte più ampio, attraverso gli elementi che da sempre fanno parte delle sue opere: la materia e il colore. La materia è quella della città. Sono porzioni di saracinesche, cartelli stradali, lamiere, fusti in acciaio, frammenti di cantieri che vede, recupera, accumula, in modo istintivo. Il colore è quello della strada, dei vagoni ferroviari, dei muri nelle periferie, delle bombole e dei pennelli dei writers. La trasformazione avviene nello studio, quando l’artista assembla i vari elementi prelevati dal contesto, con una struttura leggera in cui giustappone le varie parti, e chiede ad altri di intervenire: in particolare, per le tre opere qui esposte, condividendo le scelte con l’amico Leo Soncini, invita writers amici a trasferire la loro pratica in un interno e a lasciare un segno su queste superfici irregolari e gibbose; incarica imbianchini professionisti di cancellare queste tracce, senza dare ulteriori indicazioni. Proprio come accade su tanti muri, quando il ripristino del decoro impone una sovrapposizione cromatica, mai identica alla tonalità precedente, che, anziché annullare, rende evidente la cancellatura e denuncia la presenza di una nuova autorialità e di una differente autorità. Inutile allora tentare di capire quanti e quali siano i livelli nelle composizioni di Giacomo Feltrinelli, quali sigle o parole vi fossero scritte, da dove siano stati estrapolati, quale fosse la funzione originaria, quale sia il materiale dei supporti che talvolta emerge e si rivela. Quello che conta è il nuovo scenario, il nuovo panorama. Feltrinelli, che prima sapeva indicare senza indugi la distanza tra linee stradali o le dimensioni della segnaletica, ha ora ceduto il controllo. Si è liberato e ha accolto la possibilità di restituire un equilibrio che, così come quello frenetico e mutevole della città, rivela il proprio fascino nell’impermanenza, nella manifesta precarietà e instabilità. Forse, solo per un’estate. D’altronde, dopodomani sarà settembre.
di Marta Cereda
Ondivago 2 - Ondivago 1 - Ondivago 3
200x236 cm,
smalto, spray e acrilici su ferro
2024
TRENTA AGOSTO
CHIESA DI SANTA MARTA
Magnano
2024
È il giorno prima della fine. La città è vuota e rovente. Sui marciapiedi, nuove tracce: quelle che i tacchi hanno impresso nell’asfalto, come orme di animali nei boschi. Queste, però, non verranno cancellate dall’umidità del mattino o dalla prima pioggia, rimarranno fino al nuovo caldo o fino a una nuova gettata di bitume. Mi domando se Giacomo Feltrinelli ci abbia fatto caso, nel corso delle sue esplorazioni urbane, con lo sguardo fisso a terra, a distrarsi solo il tempo di cercare in tasca il cellulare per prendere appunti con uno scatto e permettersi di ricordare, dopo, le imperfezioni incontrate sul suo cammino. È questo il metodo che l’artista ha adottato per realizzare alcune sue serie, in cui la guida era imposta dalla segnaletica orizzontale, dalle imperfezioni di quelle che avrebbero dovuto essere linee stradali impeccabili, ricondotte all’ordine grazie a una costruzione geometrica rigorosa, a una composizione bilanciata, proporzionata, completamente controllata, con riferimenti inevitabili alla pittura analitica e all’arte concreta. Poi, ora, Feltrinelli ha sollevato lo sguardo. Ha scelto di restituire un intero paesaggio, non più una porzione di territorio, bensì un orizzonte più ampio, attraverso gli elementi che da sempre fanno parte delle sue opere: la materia e il colore. La materia è quella della città. Sono porzioni di saracinesche, cartelli stradali, lamiere, fusti in acciaio, frammenti di cantieri che vede, recupera, accumula, in modo istintivo. Il colore è quello della strada, dei vagoni ferroviari, dei muri nelle periferie, delle bombole e dei pennelli dei writers. La trasformazione avviene nello studio, quando l’artista assembla i vari elementi prelevati dal contesto, con una struttura leggera in cui giustappone le varie parti, e chiede ad altri di intervenire: in particolare, per le tre opere qui esposte, condividendo le scelte con l’amico Leo Soncini, invita writers amici a trasferire la loro pratica in un interno e a lasciare un segno su queste superfici irregolari e gibbose; incarica imbianchini professionisti di cancellare queste tracce, senza dare ulteriori indicazioni. Proprio come accade su tanti muri, quando il ripristino del decoro impone una sovrapposizione cromatica, mai identica alla tonalità precedente, che, anziché annullare, rende evidente la cancellatura e denuncia la presenza di una nuova autorialità e di una differente autorità. Inutile allora tentare di capire quanti e quali siano i livelli nelle composizioni di Giacomo Feltrinelli, quali sigle o parole vi fossero scritte, da dove siano stati estrapolati, quale fosse la funzione originaria, quale sia il materiale dei supporti che talvolta emerge e si rivela. Quello che conta è il nuovo scenario, il nuovo panorama. Feltrinelli, che prima sapeva indicare senza indugi la distanza tra linee stradali o le dimensioni della segnaletica, ha ora ceduto il controllo. Si è liberato e ha accolto la possibilità di restituire un equilibrio che, così come quello frenetico e mutevole della città, rivela il proprio fascino nell’impermanenza, nella manifesta precarietà e instabilità. Forse, solo per un’estate. D’altronde, dopodomani sarà settembre.
di Marta Cereda
Ondivago 2 - Ondivago 1 - Ondivago 3
200x236 cm,
smalto, spray e acrilici su ferro
2024
Giacomo Feltrinelli Studio
Via Privata Dolfin 10, 20155 Milano
+39 3343198644 / giacomo.feltr@libero.it
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